venerdì 7 marzo 2008

I Mezz'orchi

Mezz’orchi
Esseri nati dalle violenze degli orchi sugli uomini, sono odiati da uomini ed orchi e non sono troppo amati nemmeno dagli Elfi, anche se i Silvani provano pietà per loro e spesso i Drow li fanno loro alleati. Hanno fisici estremamente portati per il combattimento, sono eccezionalmente robusti, forti e resistenti. Come gli orchi, vedono al buio, ma come gli Umani provano i più svariati sentimenti. Vivono in media quanto gli Umani, cioè circa settanta anni. Spesso si mettono “al servizio” dei Mezz’elfi, che non li disprezzano, anzi li capiscono in quanto Figli della Violenza esattamente come loro.
Esteticamente sono decisamente brutti, anche se qualcuno di loro riesce a camuffare la propria origine ed a trovare impiego come manovale in fattorie, botteghe di fabbro o come rematore nei mercantili. La maggior parte di loro, però, è votato al combattimento ed ha sete di vendetta, contro gli orchi o contro gli Umani o addirittura contro entrambi.
Non sono molto intelligenti, né particolarmente dotati per i lavori artistici, ma hanno l’innata capacità di imparare molto in fretta ad usare le armi.

I Krèmoni

Krèmš

Comunemente chiamati krèmoni, sono ominidi quadrumani ricoperti da una fitta peluria. Sono numerosissimi, specie nel Continente Settentrionale, ove contendono agli Umani (che chiamano Baràkan-Nemici) il dominio dei territori.
Si dividono un due razze principali, molto simili tra loro, i Kensit ed i Ponsit.
I Kensit sono più piccoli, alti poco meno di un Uomo e vivono nelle boscaglie e nelle savane.
I Ponsit sono grossi come gorilla ed altrettanto forti. Vivono nelle foreste, ma non disdegnano i boschi alle pendici dei monti meno alti. Hanno imparato ad addestrare grossi felini simili a tigri, le Tagarji (vedi).
Tutti i krèmoni sono divisi in tribù, con una rigida gerarchia basata sulla legge del più forte, sono governati dai cosiddetti “Signori della Guerra” (Krèmsham).
Non sanno lavorare i metalli, ma spesso ne fanno uso dopo avere sottratto armi durante le frequenti razzie. Spesso prendono degli schiavi tra gli Uomini o tra i Bredel.

giovedì 6 marzo 2008

Estratti da "Le Maledizioni"

Giornalmente inserirò degli estratti dal mio ultimo romanzo "Le Maledizioni", tutt'ora in fase di creazione. Gli estratti forniranno semplicemente un'idea dello stile dello scritto, senza rivelare nulla della trama o dei personaggi.

I primi due estratti sono: "Tornando a casa" e "Primo Contatto"

Buona lettura!

Tornando a casa

Erano passati cinque lunghi anni ormai e molti dei suoi compagni erano caduti e non si erano più rialzati, molti altri si erano incamminati verso sentieri oscuri per raggiungere la luce e forse l’avevano trovata, altri ancora avevano perduto ogni cosa, prima di perdere definitivamente se stessi. Lui stesso era molto cambiato.
Sopravvissuto a cento battaglie, i suoi cavalli erano in buona salute e le sue armi avevano bevuto il sangue di innumerevoli nemici.
Erano accadute molte cose in quei cinque anni e, anche se a volte rimpiangeva di non essere morto o di non essere impazzito del tutto, era perfettamente conscio che nulla sarebbe rimasto più uguale a com’era prima.
Il suo volto scarno ed il colorito cereo della sua pelle davano l’impressione di un uomo molto malato, tuttavia la sua schiena era ancora dritta, le sue spalle larghe e le mani forti.
Aveva inciso nell’anima il fetore degli accampamenti, le lunghe agonie dei morenti e la tristezza di un inverno che non era ancora finito nel suo cuore e che stava arrivando precocemente sulle sue terre.
Il cavallo pareva irrequieto, forse aveva capito di essere tornato finalmente a casa.

Primo Contatto

Spalancò gli occhi: un’orribile desolazione si presentava al suo sguardo. Brulle terre collinari cedevano il passo a nere e frastagliate montagne, aguzze come i denti di una tigre. Il cielo, di color rosso cupo, era attraversato nella sua interezza da nubi vermiglie e verdi di malattia. Ebbe la netta sensazione di precipitare, ma improvvisamente gli si parò dinanzi un piccolo seme nero. Questo sprofondò nelle viscere della terra e diede vita ad un piccolo albero che crebbe, crebbe fino a diventare maestoso, dalla corteccia robusta e dalle foglie vive e dai colori radiosi. Venne la primavera e spuntarono fiori dai petali azzurri e viola che emanavano un profumo misto di pesco e gelsomino. Aëshvell aspettava un frutto per coglierlo e mangiarlo, fu sicuro di trovarsi in presenza dell’Albero della Vita, ma la Voce, insinuante, gli sussurrò: “Fermo…”.
I fiori caddero in terra presto seguiti dalle foglie, rinsecchitesi in un battito di ciglia. L’albero morì e presto non fu altro che un tronco cavo. Si sentì tirare da dietro ed una forza immane lo allontanò fino a quasi un miglio da dov’era l’albero, ma non ebbe il tempo di chiedersi cosa stesse accadendo, perché un fascio di luce fu proiettato in alto salendo sin dalle radici dell’albero.
Il fascio di luce iniziò a disegnare nel cielo innumerevoli spirali, collegate fra loro da fiotti di buio, ed iniziò a ruotare sempre più velocemente, ancora più velocemente e, in un tempo che Aëshvell seppe lunghissimo, ma che immaginò fosse durato meno di un istante, il fascio di luce divenne un cono di luce intermittente. Emanava una sensazione di Potere inequivocabile: si trovava davanti ad un Dio, Aëshvell ne era certo.
La Luce lo osservò attentamente, tanto da sondare i suoi pensieri più intimi: si sentì spogliato persino della sua pelle e stava per urlare di terrore, quando lo sguardo della Luce si posò appena dietro di lui. Avrebbe voluto girarsi, ma gli fu impossibile.
La Luce parlò. La voce tuonò nelle orecchie dell’uomo, che non ricordò più nemmeno il suo nome.
«È costui?»

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