martedì 18 marzo 2008

Eva e Drijel

Si muoveva come in un sogno. I suoi piedi procedevano da soli, senza che la sua mente ne controllasse i movimenti. I suoi occhi poco a poco si abituarono al buio e le orecchie percepivano i suoni del bosco, quel bosco in cui eternamente fluiva la primavera: lo scalpiccio delle zampe di una lepre, il frinire degli strani insetti notturni, il richiamo cupo di una civetta.
Si stava inoltrando nel suo cuore pulsante, quel luogo dove mai essere umano a parte lei aveva messo piede. La gente si teneva lontana dalle cascate cristalline e se vi capitava per caso fuggiva terrorizzata: terribili storie di streghe e dèmoni accompagnavano la fama di quel luogo. Eppure Eva, fin dalla prima volta che si era ritrovata a passeggiare tra le felci di quei luoghi, aveva percepito un’aura magica, ma non un’aura maligna, bensì qualcosa che trascendeva dal Bene e dal Male, come una forza che agiva soltanto per sé, incurante dei destini degli esseri mortali.
Lì, in fondo ad un crepaccio, aveva visto una grotta dalla quale si emanava una dolce melodia. Scivolando per raggiungerla si era graffiata dappertutto e la bellissima donna che era uscita dall’oscurità della caverna aveva curato le sue ferite semplicemente passandovi sopra una mano e dicendole come in un sogno: “Ti piacerebbe saperlo fare, mia piccola amica? Qual è il tuo nome?”, ma lei, la donna, lo sapeva già.

mercoledì 12 marzo 2008

Le Carte

Si svegliò di soprassalto con questa visione ancora nitida davanti agli occhi. Aveva la fronte imperlata di sudore freddo, le mani le tremavano e le ginocchia si erano rannicchiate fino al petto. Erano passati molti anni dall’ultima volta che aveva avuto una visione così nitida di qualcosa che era accaduto e che avrebbe avuto ripercussioni sul futuro.
Si alzò dal letto e, scostando i lunghi capelli dal viso, prese la candela che aveva sul comodino. Percorse tutta la camera da letto al buio e soltanto quando oltrepassò la porta, accese la candela con un acciarino preso da una mensola vicina. Dal grande tavolo centrale tirò fuori le sue carte, si sedette, poggiò la candela davanti a sé e rimase qualche istante in silenzio, respirando profondamente. L’ultima volta che aveva provato una lettura del genere era rimasta svenuta per tre interi giorni, però sentiva che non poteva farne a meno, sapeva che se non l’avesse fatto i sogni l’avrebbero tormentata per settimane.
Mormorando una litania in una lingua arcana, incomprensibile ai più, mischiò le carte sette volte, una per ogni Spirito Protettore, divise il mazzo e le mischiò altre quattro volte, una per ogni Sacra Direzione. Invocò l’aiuto degli Dei ed iniziò a disporre le carte sul tavolo.
Ciò che vide la sconvolse. Il male del suo sogno era reale, era vivo e stava arrivando. Temeva ciò che stava pensando, eppure non c’era alternativa, se non voleva far precipitare nel caos tutta la regione.
“Gadrijl oh, Gadrijl! Quante volte hai pensato al tuo Dono come ad una maledizione? Questa volta lo è sul serio! Nulla potrà salvarmi, nulla”.

I Mezz'elfi

Mezz’elfi
I primi Mezz’elfi di cui si ha notizia furono i figli di Flÿasë, Elfa Silvana, figlia di Re Thaenghyl di Tlaw. S’innamorò di Yàred Maenfûrab, principe dell’antico regno di Kaijn, sull’isola di Weijperijan. Trasferitisi sull’isola di Deseghrijan diedero vita ad una schiatta di Mezz’elfi che non si è tutt’ora estinta. Oggidì, però, la maggioranza dei Mezz’elfi che girovagano per il Nyron sono figli di violenze subite dalle ingenue fanciulle elfiche, che spesso hanno subito gli abusi da parte di uomini violenti o incantati dalla loro bellezza.
I Mezz’elfi somigliano molto agli Elfi nelle forme aggraziate e nei movimenti agili ed eleganti, anche se spesso si lasciano crescere la caratteristica peluria sul viso tipica degli Umani (gli Elfi non hanno peli sul corpo, a parte i capelli). Sono molto dotati per le arti e spesso possiedono poteri magici innati e hanno la vista migliore di quella degli Umani (spesso vedono al buio come gli Elfi). In effetti quella del Mezz’elfo è una condizione molto ben equilibrata, in quanto sono molto intelligenti e carismatici, forti e resistenti.
Di contro, c’è da dire che non sono benaccetti tra gli Elfi (che li chiamano Mezzi Umani) per i loro comportamenti spesso apatici e qualunquisti e spesso sono malvisti anche dagli Umani, in quanto sembrano loro superbi e presuntuosi. Paradossalmente hanno i migliori rapporti con i Nani e con i Mezz’uomini ed a volte con i Mezz’orchi, con i quali spesso condividono l’origine violenta della loro vita.
Sono molto più longevi degli Umani, anche se la loro “elficità” si manifesta soltanto con la raggiunta maturità (verso i 18 anni standard), poiché invecchiano molto lentamente, arrivando spesso a superare i duecento anni.
Un discorso a parte meritano i Mezz’elfi che discendono dai Drow. In genere, infatti, accade che la violenza sia subita dalle donne Umane, proprio da parte di razziatori Drow. La maggior parte dei Mezz’elfi discendenti da questa schiatta di Elfi, contrariamente agli altri, hanno vissuto i loro primi anni con gli Umani, trattati come dei “diversi” ed esclusi da tutti i mestieri “rispettabili”, per cui si dedicano quasi sempre ad attività non proprio lecite, vivendo nell’odio per gli Umani e per gli Elfi Alti. Spesso sono loro a guidare i gruppi di Mezz’orchi e, se sono Praticanti della Magia, spesso sono riusciti a creare regni fondati sul terrore.

venerdì 7 marzo 2008

I Mezz'orchi

Mezz’orchi
Esseri nati dalle violenze degli orchi sugli uomini, sono odiati da uomini ed orchi e non sono troppo amati nemmeno dagli Elfi, anche se i Silvani provano pietà per loro e spesso i Drow li fanno loro alleati. Hanno fisici estremamente portati per il combattimento, sono eccezionalmente robusti, forti e resistenti. Come gli orchi, vedono al buio, ma come gli Umani provano i più svariati sentimenti. Vivono in media quanto gli Umani, cioè circa settanta anni. Spesso si mettono “al servizio” dei Mezz’elfi, che non li disprezzano, anzi li capiscono in quanto Figli della Violenza esattamente come loro.
Esteticamente sono decisamente brutti, anche se qualcuno di loro riesce a camuffare la propria origine ed a trovare impiego come manovale in fattorie, botteghe di fabbro o come rematore nei mercantili. La maggior parte di loro, però, è votato al combattimento ed ha sete di vendetta, contro gli orchi o contro gli Umani o addirittura contro entrambi.
Non sono molto intelligenti, né particolarmente dotati per i lavori artistici, ma hanno l’innata capacità di imparare molto in fretta ad usare le armi.

I Krèmoni

Krèmš

Comunemente chiamati krèmoni, sono ominidi quadrumani ricoperti da una fitta peluria. Sono numerosissimi, specie nel Continente Settentrionale, ove contendono agli Umani (che chiamano Baràkan-Nemici) il dominio dei territori.
Si dividono un due razze principali, molto simili tra loro, i Kensit ed i Ponsit.
I Kensit sono più piccoli, alti poco meno di un Uomo e vivono nelle boscaglie e nelle savane.
I Ponsit sono grossi come gorilla ed altrettanto forti. Vivono nelle foreste, ma non disdegnano i boschi alle pendici dei monti meno alti. Hanno imparato ad addestrare grossi felini simili a tigri, le Tagarji (vedi).
Tutti i krèmoni sono divisi in tribù, con una rigida gerarchia basata sulla legge del più forte, sono governati dai cosiddetti “Signori della Guerra” (Krèmsham).
Non sanno lavorare i metalli, ma spesso ne fanno uso dopo avere sottratto armi durante le frequenti razzie. Spesso prendono degli schiavi tra gli Uomini o tra i Bredel.

giovedì 6 marzo 2008

Estratti da "Le Maledizioni"

Giornalmente inserirò degli estratti dal mio ultimo romanzo "Le Maledizioni", tutt'ora in fase di creazione. Gli estratti forniranno semplicemente un'idea dello stile dello scritto, senza rivelare nulla della trama o dei personaggi.

I primi due estratti sono: "Tornando a casa" e "Primo Contatto"

Buona lettura!

Tornando a casa

Erano passati cinque lunghi anni ormai e molti dei suoi compagni erano caduti e non si erano più rialzati, molti altri si erano incamminati verso sentieri oscuri per raggiungere la luce e forse l’avevano trovata, altri ancora avevano perduto ogni cosa, prima di perdere definitivamente se stessi. Lui stesso era molto cambiato.
Sopravvissuto a cento battaglie, i suoi cavalli erano in buona salute e le sue armi avevano bevuto il sangue di innumerevoli nemici.
Erano accadute molte cose in quei cinque anni e, anche se a volte rimpiangeva di non essere morto o di non essere impazzito del tutto, era perfettamente conscio che nulla sarebbe rimasto più uguale a com’era prima.
Il suo volto scarno ed il colorito cereo della sua pelle davano l’impressione di un uomo molto malato, tuttavia la sua schiena era ancora dritta, le sue spalle larghe e le mani forti.
Aveva inciso nell’anima il fetore degli accampamenti, le lunghe agonie dei morenti e la tristezza di un inverno che non era ancora finito nel suo cuore e che stava arrivando precocemente sulle sue terre.
Il cavallo pareva irrequieto, forse aveva capito di essere tornato finalmente a casa.

Primo Contatto

Spalancò gli occhi: un’orribile desolazione si presentava al suo sguardo. Brulle terre collinari cedevano il passo a nere e frastagliate montagne, aguzze come i denti di una tigre. Il cielo, di color rosso cupo, era attraversato nella sua interezza da nubi vermiglie e verdi di malattia. Ebbe la netta sensazione di precipitare, ma improvvisamente gli si parò dinanzi un piccolo seme nero. Questo sprofondò nelle viscere della terra e diede vita ad un piccolo albero che crebbe, crebbe fino a diventare maestoso, dalla corteccia robusta e dalle foglie vive e dai colori radiosi. Venne la primavera e spuntarono fiori dai petali azzurri e viola che emanavano un profumo misto di pesco e gelsomino. Aëshvell aspettava un frutto per coglierlo e mangiarlo, fu sicuro di trovarsi in presenza dell’Albero della Vita, ma la Voce, insinuante, gli sussurrò: “Fermo…”.
I fiori caddero in terra presto seguiti dalle foglie, rinsecchitesi in un battito di ciglia. L’albero morì e presto non fu altro che un tronco cavo. Si sentì tirare da dietro ed una forza immane lo allontanò fino a quasi un miglio da dov’era l’albero, ma non ebbe il tempo di chiedersi cosa stesse accadendo, perché un fascio di luce fu proiettato in alto salendo sin dalle radici dell’albero.
Il fascio di luce iniziò a disegnare nel cielo innumerevoli spirali, collegate fra loro da fiotti di buio, ed iniziò a ruotare sempre più velocemente, ancora più velocemente e, in un tempo che Aëshvell seppe lunghissimo, ma che immaginò fosse durato meno di un istante, il fascio di luce divenne un cono di luce intermittente. Emanava una sensazione di Potere inequivocabile: si trovava davanti ad un Dio, Aëshvell ne era certo.
La Luce lo osservò attentamente, tanto da sondare i suoi pensieri più intimi: si sentì spogliato persino della sua pelle e stava per urlare di terrore, quando lo sguardo della Luce si posò appena dietro di lui. Avrebbe voluto girarsi, ma gli fu impossibile.
La Luce parlò. La voce tuonò nelle orecchie dell’uomo, che non ricordò più nemmeno il suo nome.
«È costui?»

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